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Franco Guolo racconta J. M. Littlejohn

Franco Guolo racconta J. M. Littlejohn

21/11/2022
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Franco Guolo racconta J. M. Littlejohn
Di seguito proponiamo la lettura di un’interessante intervista condotta e pubblicata da OSTEOPATIANEWS con Franco Guolo DO, direttore didattico e docente CIO e autore del libro "Linee di forza di J.M. Littlejohn e applicazioni cliniche".
 


L’osteopatia come anatomia e soprattutto fisiologia, arrivando a spiegare la fisiopatologia.


Abbiamo intervistato Franco Guolo, direttore didattico e docente del CIO, proponendogli un confronto “faccia a faccia” con il pensiero e le opere di John Martin Littlejohn. Guolo ha coltivato fin dai primi studi di osteopatia un grande rispetto e una grande passione per l’attività di Littlejohn, riconoscendogli una capacità intuitiva e una conoscenza della fisiologia umana fuori dal comune.

Grazie a questo grande interesse, è stato possibile far emergere peculiarità delle ricerche dell’osteopata inglese poco conosciute in Italia. Non solo la biomeccanica del corpo, dunque, tema che a volte ha portato a pensare che la sua visione osteopatica fosse troppo meccanicistica e posturologica, ma anche altri aspetti, come la “morbida anatomia e il “bioritmo del paziente”, per tratteggiare con maggior chiarezza uno sguardo e un approccio originale alla disciplina.
 

Da dove è nato il tuo interesse sul lavoro di J. M. Littlejohn?


Questo mi ha incuriosito e, alla fine del mio corso di studi, ho cominciato a cercare di raccogliere materiale in letteratura su questo argomento. Devo dire che non è stato facile, perché allora l’unico riferimento era John Wernham, colui che ha proseguito e diffuso il lavoro ed il pensiero di Littlejohn dopo la sua morte, e il College of Classical Osteopathy, da lui diretto.

Ho avuto modo di conoscere il dott. Wernham due anni prima della sua morte (nel 2007), assistendo ad uno dei suoi ultimi seminari esterni alla Gran Bretagna e quell’incontro mi fece capire che dietro alle nozioni per cui Littlejohn era conosciuto, almeno in Italia, vi erano una capacità intuitiva ed una conoscenza della fisiologia umana che, per l’epoca, secondo me, avevano dell’incredibile.
 

Hai saputo da dove provenissero queste sue conoscenze?


Certamente Littlejohn è stato un grande studioso in varie discipline e quindi con una cultura di base notevole. Ma sono sempre stato convinto che questo non fosse sufficiente a spiegare completamente le conoscenze evidenziate dalle sue osservazioni. Lo stesso Wernham, nonostante Littlejohn fosse stato, oltre che amico, il suo mentore e con lui abbia studiato e lavorato per circa 20 anni, a mia specifica domanda, non ha spiegato chiaramente se avesse avuto altre fonti di ispirazione oltre a quelle conosciute.


In quali aspetti Littlejohn ha differito da Still?


Per la prima volta, in osteopatia, si è dunque sentito parlare di alimentazione, di igiene personale, di facilitazione alle infezioni e alle malattie. Littlejohn considerava i fluidi del corpo il vero germicida naturale a cui l’osteopata doveva rivolgersi. Inoltre, a differenza di Still, Littlejohn considerava “l’infiammazione” come una “iperreazione” di difesa del corpo, quella che egli usava definire “morbida anatomia” classificando così i tessuti che presentavano le caratteristiche edemigene della flogosi. Quindi l’osteopatia non era più solo “anatomia, anatomia e ancora anatomia” bensì “anatomia e soprattutto fisiologia” che porterà poi a spiegare la fisiopatologia.
 

In Italia Littlejohn è conosciuto per i suoi lavori sulla biomeccanica del corpo. Questo ha portato a pensare che la sua visione osteopatica fosse troppo meccanicistica e posturologica. Condividi questa linea di pensiero?


Prima di tutto si dimentica spesso che la lettura del corpo fatta da Littlejohn sulle catene disfunzionali articolari e muscolari è sempre e comunque indirizzata ad interpretare il sistema di funzionamento dell’intero sistema organico, appunto quel sistema circolatorio-respiratorio che egli considerava primario per la salute dell’individuo. I collegamenti che Littlejohn ha suggerito permettono un’interpretazione molto rapida ed efficace del terreno costituzionale e disfunzionale del paziente.

Per quanto mi riguarda, attraverso lo studio della sua materia credo di essere riuscito a capire per la prima volta cosa intendesse Still, sul piano pratico, con la relazione salute e malattia e cosa significasse “cercare la salute”. Littlejohn è stato il primo a farmi capire quale dovesse essere il mio punto di osservazione nel cercare il potenziale stato di salute del paziente attraverso una valutazione fisiognomica e posturale.

Inoltre, in realtà, dietro a deduzioni cliniche che definirei semplicemente geniali, vi sono non so dire se conoscenze o intuizioni embriologiche che hanno dell’incredibile. Ciascuno dei suoi modelli costituzionali e funzionali è facilmente collegabile ad un morfotipo e ciascuna delle sue linee di gravità e di tensione è facilmente riferibile ad un preciso riferimento embriologico. Attraverso la valutazione palpatoria osteopatica classica è quindi possibile ottenere indicazioni sulla sfera funzionale di sofferenza dell’individuo con una differenziazione precisa tra aspetto somatico, mentale, organico e psichico.
 

Nei suoi scritti si ritrova molta clinica. C’è qualche argomento particolare che ti ha colpito per i contenuti?


Ma quello che mi ha colpito maggiormente è stato l’argomento di una lezione risalente agli anni ’30 in cui tratta dell’importanza di imparare a valutare palpatoriamente il “tempo” del paziente. Il “bioritmo del paziente” permette di interpretarlo sia da un punto di vista diagnostico che terapeutico. Il tipo di bioritmo su cui si poggia il paziente dà segnali importanti sulla tendenza neurovegetativa del momento e su quelli che possono essere gli schemi di difesa adottati dal soggetto: da questo si può avere un’idea di quali siano gli apparati o le funzioni più a rischio.

Confrontando questi dati con la natura morfogenetica del soggetto si può avere un’idea circa la situazione di fisiologia o non fisiologia al momento della valutazione. Inoltre attraverso l’analisi del bioritmo si può avere un’importante indicazione sulla scelta del ritmo terapeutico: a quel punto poco conta la scelta della tecnica purché corrisponda alle necessità del sistema su cui si va ad operare. Da parte mia, che sono un estimatore della didattica palpatoria di Rollin Becker, ho ritrovato grandi analogie tra queste indicazioni e quelle di Littlejohn, ma bisogna considerare che quest’ultimo ne ha parlato molti anni prima che Sutherland presentasse certi concetti.
 

In Italia gli insegnamenti di Littlejohn fanno parte del programma base di poche scuole; nella stessa Gran Bretagna da tanti anni, il suo metodo è insegnato come corso postgraduate. Quali ritieni siano i motivi?


In Italia sono invece abbastanza certo che non sia passato il reale messaggio di cosa ha scritto e fatto Littlejohn. È considerato “un meccanicista” o un “posturologo” e questo dimostra quanto sia poco conosciuto. Si crede che il suo lavoro sulle Linee di Forza e sugli Archi Funzionali sia una sorta di elaborazione posturale mentre è l’estrapolazione biomeccanica di un incredibile studio funzionale dettato del sistema uomo.
 

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